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La regina delle sabbie [2]
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La regina delle sabbie [1]

di Wanda Romagnoli e Marco Vasta - Dicembre 1981



Bamma Ko - il fiume del coccodrillo - era uno sperduto villaggio sulle rive del Niger fino a cento anni fa quando i francesi vi costruirono un fortino, oggi è la capitale del Mali, uno dei nuovi Stati delineati sulla carta al momento dell'indipendenza dell'Africa Occidentale francese. Siamo a poche ore di volo aereo dall'Italia, ma l'Africa è un mondo diverso e lontano.

Pratiche interminabili, funzionari che sfoggiano il loro piccolissimo potere, e che sono ostacoli talvolta insuperabili... ma il vero incubo è la mancanza di benzina. Anche il nostro piccolo aereo per Timbuctù ha problemi di rifornimento e vola con mezzo carico. Qualche passeggero rimane a terra. Sorvoliamo il fiume Niger. Sotto di noi si allarga il delta interno: un dedalo di lagune, paludi, laghi, villaggi ed isole steppose. L'occhio spazia sulla distesa di canali, larga fino a 200 chilometri e lunga più di 300, che coprono una minima parte di questo Paese grande quattro volte l'Italia.

Il nostro itinerario parte da Timbuctù, mitica regina delle sabbie, ma il mito della città proibita vive solo per noi. Pochi sono i resti degli splendori passati. Fondata dai Touareg, è stata conquistata dai grandi imperi dei Mandingo, dei Peul, dei Mussulmani ed infine dai francesi. Si racconta che i suoi abitanti possedessero oltre centomila cammelli. Oggi è fuori dai traffici commerciali: solo l'Azalai, la grande carovana, giunge puntuale ogni anno dal lontano deserto del Toudeni, attraversando 700 chilometri di sabbia e rocce con un carico di salgemma da imbarcare nel vicino porto fluviale di Kabara.

Case senza finestre racchiudono freschi cortili, la moschea è un castello di sabbia, il minareto e le merlature a cono sono caratteristici dello stile sudanese. Il muezzin ci accompagna fra gli enormi pilastri di fango secco che sostengono le navate interne causati dall'ultima pioggia di dieci anni fa. Le tre grandi moschee, una delle quali aveva le dimensioni della Kaaba a La Mecca, e le madrese, università e biblioteche rinomate in tutto l'Islam, erano già decadute come centri culturali letterari e scientifici quando il maggiore Laing le visitò nel 1826, primo europeo a raggiungere la porta sud del Sahara dopo aver attraversato il «nulla» del deserto. Al mercato incontriamo Songai, Touareg, Mauri e gente del fiume. Ben lontano è il tempo quando questa città era capitale e luogo di incontro delle carovane giunte da migliaia di chilometri con oro, tabacco, datteri algerini, avorio ed altre mercanzie come salgemma o tappeti da scambiare con gli schiavi del golfo.

Dei centomila abitanti ne restano qualche migliaio sparsi fra la città e gli accampamenti della zona, ma l'obiettivo del nostro viaggio non è il deserto che si estende a nord verso Marocco ed Algeria, bensì il popolo sudanese. E' un termine molto ampio che indica le popolazioni stanziate a sud del Sahara, e che comprende i pescatori e gli allevatori che si sono insediati lungo il grande Niger. Con un po' di fortuna troviamo un mezzo di trasporto per tornare verso Sud. Una pinassa, un barcone lungo e sottile, ci ospita sul suo carico di sale. Lunga venti metri e larga tre, con una copertura di canne e di tela, ha due motori: ci porteràper cinque giorni verso Mopti, risalendo il delta interno e toccando villaggi sperduti, fuori dalle rotte del battello di linea.

Il ritmo della vita sul fiume è lento, un ritmo continuo come la fatica delle donne intente dalle prime ore del sole a battere il miglio nei mortai. La decolonizzazione non ha portato molti cambiamenti nella condizione della donna africana. In Mali la donna è considerata uno strumento di lavoro e la poligamia rappresenta ancora la regola sebbene sia in fondo un limite nelle risorse finanziarie dello sposo. La monogamia diventa allora virtù di massa. Se una volta il matrimonio avveniva con lo scambio di due fanciulli fra famiglie che divenivano alleate, oggigiorno si usa il sistema della dote che consiste in una somma di denaro o in beni che il marito versa ai parenti della sposa. Essendo ammesso il divorzio, la dote torna al marito al quale sono assegnati anche eventuali figli.

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