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Inaspetattamente Mali [3]

di Marcella Vinciguerra - Gennaio 2001


Oh. E’ Capodanno. L’anno scorso ero nel bel mezzo del casino berlinese di fine millennio, tra fuochi d’artificio, fumi di petardi, gente bevuta ed istericamente euforica. Ora sono qui, sotto un cielo stellato, con un piatto di riso -scotto- e una coscia di pollo al sugo. Deplorevole. Ma fantastico. Il mio compagno di viaggio ha la febbre, brindiamo al Nuovo Anno , va a dormire: lo seguo, stremata dalla lunga giornata sotto il sole.

Partenzaaaa! Eccoci di nuovo in viaggio verso Nord. Destinazione: i Paesi Dogon. Sono eccitatissima. Ho studiato i Dogon alle elementari. E’ vero, insieme ai Boshimani del Kalahari e i Tasadei delle Filippine. Sono tre tra le poche popolazioni rimaste al Mondo che vivono ancora allo stato primitivo, basando la loro vita sull’economia e sui ruoli sociali tradizionali: la Donna si fa un c..o così, insomma. Niente elettricità, ne’ acqua corrente in casa, pastorizia, agricoltura, riti religiosi, cultura orale, capo villaggio e così via. Beh, magari in 20 anni –gasp!- le cose sono leggermente cambiate, ma vi assicuro che nei villaggi Dogon la luce elettrica non esiste, le donne si caricano secchi in testa per andare a recuperare l’acqua alla fonte sopra ai villaggi, gli uomini se ne stanno a parlare vicino al Togu-nà (il tribunale del Paese) e ad intrattenere i pochi turisti di passaggio, i bambini sono scalzi e sporchi di terra, ma sanno usare una videocamera.

Ma siamo sicuri di essere sulla Terra? I baobab si ergono fieri nella luce dell’alba, immobili, come tutto il resto qui, è così, calmo. La luce tinge di un pallido rosa la brulla terra, solo il verde smeraldo dei campi di cipolle contrasta col paesaggio vagamente lunare che mi circonda. Ho come la sensazione di essere su Marte, o comunque su un pianeta irreale, come quello del Piccolo Principe, solo che qui rose non ce n’è. Cipolle e baobab. Ma dirigendoci a piedi verso la Falesia, un lunghissimo altipiano roccioso che si estende per oltre 40 km fino al confine col Burkina Faso, spariscono all’orizzonte, facendo largo a distese di roccia levigata, solleticata da ciuffetti d’erba secca. E’ uno spettacolo avvicinarsi allo strapiombo: è li che occorre scendere per poter visitare i primi villaggi Dogon partendo da Sangha ed è solo con l’aiuto di un’esperta guida locale che si riesce a trovare il giusto sentiero. Fa già caldo, nonostante siano le 7 di mattina, ma incuriositi proseguiamo con le nostre zavorre -acqua, videocamera, macchina fotografica- fino al primo villaggio, ai piedi della Falesia.

Eccoli, i bei granai di fango con le punte di stelo di miglio secco, ecco le piccole case dalle tettoie colme di zucche secche, cipolle e sementi vari , eccoli i gioiosi bambini che ti accolgono con tutta la loro curiosità e gaiezza. Dio come mi sento una Turistaccia Occidentale, con i miei bei pantaloncini color cachi, la canottierina bianca, il cappello peul comprato ad una bancarella di Segou e la macchina fotografica al collo. Mi vergogno da morire davanti a quelle pancette gonfie e quegli occhioni innocenti, che mi chiedono una biro, una caramella. Una scena già vista, in Tunisia, ma qui mi sembra ancora più triste e non so perchè. Eppure è la loro vita, mi chiedo che idea abbiano di noi, mi chiedo quale sarà il futuro di questi bimbi, mi chiedo se mai conosceranno un’altra realtà. La guida ci spiega gli usi e i costumi della popolazione locale ed io rimango completamente affascinata da come la tradizione sia ancora così viva e rsipetatta nel secondo Millennio, ma penso anche che la vita odierna dei Dogon sia comunque influenzata dai turisti occidentali che ogni giorno sfilano tra le vie dei villaggi, scattando fotografie-in cambio di qualche mancetta e solo con il loro permesso- e infilandosi nelle case della gente, curiosando , chiedendo, stampandosi in faccia un sorriso stupito e meravigliato (mentre il cervello dice: cazzo, che fortuna che abbiamo a non vivere qui).

Due giorni di treccking , ma anche di sane dormite al nostro campement e di ottime mangiate: qui il cuoco cucina benissimo, elaborando piatti artistici e succulenti, pur coi pochi ingredienti di cui dispone...le "cippolline Dogon" sono le più buone che abbia mai assaggiato e la sua zuppa farebbe schiattare d’invidia il miglior Chef francese. Sto bene qui, sotto il Toguna del Campo, sorseggiando una buona birra, ehm, fresca. Sono in Africa! E un’Africa completamente diversa da quella dipinta dai catolghi d’agenzia: la Tanzania del Kilimangiaro, il Kenya dai bellissimi safari fotografici, l’Egitto dalle crociere sul Nilo e le Piramidi, ....Non c’e nulla da fare: più si pensa di aver aggiunto una tappa nella conoscenza del Mondo, più ci si accorge che quella non è nientaltro che un’inizio senza fine.Una reazione a catena. Per questo amo così tanto viaggiare:gli stimoli non mancano mai.E mi sento bene. Con me stessa. Col Mondo Intero!

Purtroppo è ora di lasciare questo bellissimo paesaggio, il campement , il ragazzino che in ogni momento era presente per tendermi la mano nei punti più difficili da scalare e per tenermi lo zainetto, in silenzio, con umiltà. I venditori ambulanti attorniano la nostra macchina, vogliono farci vedere ancora i loro magazzini: prodotti artigianali, statuette, maschere, porte e finestre scolpite, batik, chincagliere di ogni sorta. E come dire di no? Ora con noi ci sono anche Abdul e Fatima, due statutette uomo-donna che mi ricordano i corpi lineari e misteriosi dei disegni di Modigliani. Siamo pronti per il viaggio estenuante che ci porterà a Mopti, il porto commerciale più grande del Niger, situata proprio nella confluenza del Grande Fiume con il suo affluente Bani.

La soprannominano la Venezia del Mali (ma sono mai stai a Venezia???!!), immagino perchè sia costruita su tre isole collegate da alcune dighe e perchè durante la stagione delle piogge c’è una grande attività fluviale. Per il resto non trovo molte analogie. E’ un gran casino. Di etnie che si mescolano- pescatori bozo, pastori peul, dogon, bambara, toucouleur (che solo il nome la dice lunga)-, di persone che caricano e scaricano battelli e piroghe, di bambini che corrono e ridono, di macchine puzzolenti cariche di ogni cosa, capre comprese, di uomini nudi che si lavano nel fiume dopo una faticosa giornata di lavoro (Mio Dio, altro che palestra!)....Anche sul fiume c’è un grande traffico di imbarcazioni che vanno e vengono da una parte all’altra delle sponde: sull’altro lato del Niger si intravedono i tetti delle povere capanne dei pescatori bozo e il fumo dei pescetti sulla spiaggia fatti affumicare (per fortuna la puzza non arriva fin qui: è tremenda, così come è tremendo lo spettacolo danzante di migliaia di mosche che imperterrite svolazzano da un pesce all’altro. Degolas), vengono da questa parte per commerciare i loro prodotti (pesce, pesce e pesce).

Dalla terrazza del famoso Bar Bozo ci godiamo il tramonto sul porto di Mopti , perdendoci in lunghi silenzi e sguardi che vanno oltre all’infinito, oltre al concreto. Ci immergiamo nei Sensi.

Il tour è agli sgoccioli, ancora una breve tappa a Sevaré -per fortuna breve- e poi , nella civiltà. Bamako.Rivediamo Hawa e la sua famiglia, ma questa volta optiamo per un albergo Top Stars nel pieno centro di Bamako, nel quartiere Inn dei turisti (mah). Che sollievo, non potete immaginare. Io stessa non riesco ad accettare il fatto che sia così contenta , anzi entusista, di poter finalmente dormire in un letto vero con materasso e lenzuola, di avere luce elettrica in quantità, frigo bar, un vero-bagno-con-doccia-calda e moquette ovunque . Mai stata così felice di essere in un albergo degno di questo nome.Giuro.E solo dopo 10 giorni di tour!!! Decidiamo di goderci questi ultimi due giorni all’insegna del relax e dello svacco nella nostra isola felice, trincando cocktail freschi, fumando sdraiati su una sdraio al bordo della piscina, leggendo un buon libro, senza pensare che lì fuori c’è il caos più totale, il mercato brulicante, lo smog dei tubi di scarico. Mi sento quasi in vacanza.

Per poco, però.

Milano sto tornando.

Subirò, un’ennesimo shock.

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