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Inaspetattamente Mali [2]
di Marcella Vinciguerra - Gennaio 2001
Mi portano ovunque, nelle boutique di tessuti, tra le bancarelle disordinate del mercato, alla Moschea, in panetteria, dalla pettinatrice-dove in media ci si sta dalle tre alle cinque ore- al Carrefour des jeunes –paseggiata esilerante tra banchetti che vendono ogni cosa, musica a palla proveniente da vecchi stereo portatili e gente che ti ferma, ti parla, ti intorta-, in dicoteca! Che esperienza, la discoteca a Bamako. Mi sento come catapultata negli anni ’70, ma con la musica della scorsa estate. Sono l’unica bianca e nessuno fa caso a me: tutti ballano con quei movimenti dolci e suadenti, si stringono, amoreggiano, mentre l’aria condizionata mi spacca il collo. Non mi sento proprio a mio agio, lo confesso, però è bello osservare la gente, cercare di capire, chiedersi. Mi metto a ballare anch’io, poi il mio sguardo cade su uno dei mille specchi che circondano la pista: ma che cazzo ci faccio io qui la Vigilia di Natale???? Prendiamoci un Gin Tonic e festeggiamo, ho voglia di divertirmi!
Sta per arrivare il mio compagno di viaggio. Ed io, credetemi, non sto più nella pelle dalla gioia: ho bisogno di raccontare, mostrare quello che ho imparato, condividere queste nuove sensazioni con qualcuno del mio mondo. Andiamo a prenderlo all’aeroporto, è il giorno della festa di fine Ramadan. Io e Hawa ci presentiamo con gli abiti tradizionali, che il giorno stesso un sarto in un retrobottega squallido e attorniato da mosche e puzze di varia provenienza, mi ha cucito "su misura". Una bambina mi guarda e si mette a piangere e strillare. "Baboo. Baboo." Continua a dirmi indicandomi col dito. La madre, con un largo sorriso, mi dice "Le fai paura, sei bianca". Cazzo, questa proprio non me l’aspettavo. Penso all’Uomo Nero di quando ero bambina : chissà se per loro è lo stesso: Fai il bravo senno’ viene l’Uomo Bianco e ti porta via. Deve essere così. Rimango con questo interrogativo e accolgo a braccia aperte il mio amico: domani si parte per una nuova Avventura!
Ci siamo. Abbiamo una macchina -una buon vecchia Peugeot 406-, un autista, un organizzatore tutto fare di nome Bamou. Ci affidiamo a loro per il nostro tour all’interno del Paese. Prima destinazione: Segou, una città , diciamo un paesone per capirci, appollaiata in un’ansa del fiume Niger, il più grande fiume africano dopo il Nilo, fonte di vita per le aride Terre in cui scorre: Guinea, Mali, Burkina Fasu, Nigeria. Ci arriviamo dopo circa due ore di macchina, anzi un po’ di più, perchè le tappe fotografiche non possono mancare: i Baobab!
Finalmente lo vedo dal vero , quest’immenso albero simbolo di un’Africa di valori e tradizioni. Ed è splendente, con il suo tronco possente, i rami tozzi e nodosi e singolari frutti che penzolano come pipistrelli. Più avanti scoprirò che i frutti sono commestibili, se ne ricava anche una crema per i dolci e che se si fanno seccare diventano una sorta di maracas con tanti semini dentro che sfregolano e sussurrano dolci nenie per bambini. Anche il tronco è utile: incidendo la corteccia in verticale si ricavano sottili fili che intrecciati diventano robuste corde da lavoro. Del baobab non si spreca niente di ciò che puo’ offrire, per questo molti lo chiamamo L’albero della Vita, ed è considerato un’albero sacro. Come il maiale da noi, insomma. Solo che da noi il maiale non è sacro, anzi.
Segou mi infonde una calma malinconica, intorno a me case di terra e paglia color ocra, strade sterrate, il Niger che scorre lento. Alcuni pescatori sulle piroghe mi ispirano per foto indimenticabili: al tramonto sembrano figure surreali. Passeggiamo tranquilli tra bambini gioiosi, vasi di terracotta, e baracche di pescatori al suono ritmico degli stiratori di tessuto. Domani si parte.
Lasciamo Segou, capitale dell’antico regno bambara, per dirigerci verso Djenné, senza dubbio la più bella e caratteristica città del Mali che ho potuto visitare (purtroppo a Timbuctou, la sua città gemella, non ci sono arrivata), interamente costruita in banko, una mistura di fango, pula di riso, paglia tritata e burro di karité. Il viaggio per arrivarci è allucinante: strade sterrate che alzano nuvoloni di polvere, caprette che sbucano all’improvviso, profonde buche non proprio salutari per la mia povera schiena....e poi la "traversata" del fiume Bani, un’affluente del Niger: tutti imbarcati su una larga chiatta a motore che dà da vivere a una ventina di persone, tra traghettanti, assistenti e venditori ambulanti. Per questo non costruiscono il ponte. Va bene così. L’arrivo a Djennè diventa ancora più affascinante.
Anche il nostro, ehm, albergo (qui si chiama Campement) è in banko: tiene fresco all’interno e permette dolci forme architettoniche all’esterno. Osservo il contrasto dei contorni col cielo dall’azzurro intenso e non resisto alla tentazione di scattare decine di fotografie, voglio immortalare anche il più piccolo dettaglio, d’altronde dove la trovo una Città di Fango così perfettamente curata e armoniosa? La guida locale –indispensabile ovunque qui in Mali- ci porta tra il dedalo di stradine del centro che conducono alla piazza principale, il cuore religioso e fulcro di vita di Djenné.
Eccola, finalmente, la Grande Moschea, magnifico esempio d’architettura sudanese. Non ci fanno entrare, e neanche salire sulla terrazza che la circonda. Non siamo musulmani. E’ un’emozione fortissima comunque, osservare quest’immensa e splendida opera architettonica; rimango a bocca aperta nel sapere che ogni anno, dopo la stagione delle piogge, tutti i cittadini, bambini compresi, si arrampicano sulle vette per ricostruirla: nessuno è mai caduto. Nessuno è mai morto. Misticismo o realtà? Che importanza ha, quello che vedo, l’aria che respiro, gli odori forti dei pesci essiccati e di spezie sono, così, reali.Come la gente del brulicante mercato del Lunedi, che arriva stracarica di cibarie, animali, tessuti, vecchi scarti dei Paesi Occidentali, da tutti i Paesini limitrofi (chissà che viaggio per arrivare, dato che il paesino più vicino si perde nel ricordo di una strada tortuosa). Uno spettacolo, mi bruciano gli occhi per i colori svavillanti e la luce di mezzogiorno. Mezzogiorno di Fuoco, ne approfittiamo per imbucarci in qualche bottega d’artigiano e fare un po’ di puro e sano shopping da turista: batik, maschere, gioielli in argento lavorati a mano. Li adoro.
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